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Il dramma dei tempi moderni

Commento al “libretto de La Thuile”

Pubblicato su Tracce n.3/1998, pp. 52-3.

1. L'ideologia come primato dell'a-priori

Una parte consistente della cultura moderna ha fatto "dell'uomo la misura dell'essere", o meglio ha reso misura dell'essere quanto dell'uomo è razionalmente comprensibile, una ragione intesa come filtro. Cioè ha posto "un a-priori astratto", che "alberga nella testa dell'uomo" come filtro con cui misurare tutto. Questo fenomeno è già stato studiato da autori anche cattolici (pensiamo a Maritain) e definito come razionalismo. Il razionalismo inizia a manifestarsi nella cultura occidentale già dal tardo medioevo, quando buona parte della teologia e della filosofia si concepiscono sempre più staccate dall’esperienza esistenziale, dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione, e sviluppano delle costruzioni sempre più astratte, in cui la ragione “parte per la tangente”, delineando “cattedrali” logiche, tanto più complicate quanto più avulse dalla realtà. Il problema, per gli autori di tale corrente (che va sotto il nome di tarda scolastica), è quello di essere coerenti con la logica, senza preoccuparsi di attingere alla realtà nella sua concretezza, facendosi anche aiutare in ciò da un maestro (=la Scrittura, la tradizione, il magistero). Sempre di meno si pensa a rileggere e meditare testi chiamiamoli magisteriali, ad esempio si cita sempre meno la Scrittura, e in modo sempre più affrettato e pretestuoso. Già questo è insomma un sintomo che l’umanità occidentale vuole “pensare con sua testa”, nel cattivo senso dell’espressione, rifiutando l’aiuto che le verrebbe dalla tradizione e dall’oggettività. Ma la sua documentazione più impressionante del razionalismo è Cartesio. Di questo autore si è cercato in questi ultimi decenni (a partire da Del Noce) una rivalutazione in senso cattolico, ma è innegabile che in lui siano presenti consistenti germi di razionalismo "ideologico". È la ragione infatti che in Cartesio detta legge alla realtà. È una ragione aprioristicamente intesa, che fissa i criteri (di chiarezza e distinzione) in base a cui la realtà può essere accettata come tale: è accettabile come reale solo ciò che è pienamente comprensibile alla ragione. Per Cartesio infatti si può accettare come vero solo ciò che risulta chiaro e distinto. Non ciò che è reale, ma ciò che è pienamente comprensibile, perfettamente razionale, deve essere accettato come certo. L’uomo è insomma invitato a diffidare di quella che Giussani chiama la sua esperienza elementare, perché in essa si mescolano aspetti di non perfetta chiarezza (è quello che in altri termini si dice, dicendo che la pretesa di capire tutto prima di seguire è slealtà con l'esperienza). Piuttosto l’esperienza elementare deve soggiacere al tribunale di una ragione, che, chiusa in sé stessa e nella sua autosufficienza, si pretende giudice e misura di tutto. Dunque la ragione non è apertura alla realtà, ma filtro che della realtà accetta solo ciò che passa il vaglio dei propri criteri a-priori.. Di conseguenza anche per Cartesio la tradizione viene, e in modo estremamente esplicito, svalutata: per lui l’ideale è ricavare tutto il sapere da ciò che è nella propria mente, prescindendo dagli altri, e dal passato; drasticamente negativo è ad esempio il suo giudizio sulla storia. è davvero sicuro solo ciò che si può ex thesauro mentis depromere (estrarre dal tesoro della [propria] mente).

Questa impostazione razionalistica la troviamo anche in altri filosofi moderni, come in Spinoza, in Leibniz (forse con minor coerenza), in Locke, in Hume. Può essere interessante notare che essa è presente un po' anche in Galileo Galilei. Il fondatore della fisica moderna infatti ammette l'esistenza solo della quantità, e nega quella delle qualità, che non rispondono a dei requisiti di "piena intelligibilità", non possono essere capite razionalmente, mentre la quantità risulta perfettamente comprensibile. Insomma l’importanza della matematica nella filosofia e nella cultura moderna ha anche questo significato, di privilegiare quel sapere che si presenta come perfettamente comprensibile, quel sapere che gode del massimo grado di chiarezza e di logica, ed esclude da ogni zona d’ombra, ogni dubbio, ogni mistero. A tale perfetta chiarezza, secondo il razionalismo moderno, deve ispirarsi tutto il sapere. Notiamo di sfuggita come l’atteggiamento dei censori ecclesiastici di Galileo non poteva non essere almeno un pò preoccupato di tale impostazione, che, al di là della questione se fosse la terra o il sole al centro, era portatrice di conseguenze deleterie per la visione cristiana della realtà.

Possiamo notare anche come questo razionalismo "ideologico" abbia come radice l'antropocentrismo (="l'uomo misura dell'essere"): il soggetto umano è al centro, e riconosce e accetta solo ciò che orbita docilmente intorno a sé; sarà allora bene solo ciò che a lui piace e non eccede la sua misura, e sarà vero solo ciò che lui può capire, in base all'a-priori che lui fissa, come conforme alla sua misura.

Esempi storici

Quali esempi storici possiamo ricordare di tale razionalismo basato sull'a-priori?

1)Già nel '700 troviamo in atto delle strategie politiche che sono ispirate a un progetto astrattamente razionale e nemico della tradizione: il cosiddetto "dispotismo illuminato", applicato nei maggiori stati europei dell'epoca, è una documentazione di quanto intendiamo dire. Uno dei tratti distintivi del dispotismo illuminato fu appunto un disprezzo delle tradizioni e la volontà di imporre nuove regole dettate unicamente da una logica astratta. Di qui ad esempio la lotta contro molte festività, a cui invece il popolo era attaccato, in nome dell'efficienza e in odio allo spirito comunitario che in tali feste aveva occasione di cementarsi.

2) La Rivoluzione Francese segna il trionfo di tale astrattezza razionalistica: in essa l'odio per la tradizione raggiunge livelli estremi. a) Così la suddivisione del territorio francese viene interamente sconvolta: al posto delle regioni tradizionali, che avevano delle radici nella storia precedente, si creano nuovi "dipartimenti" basati non su fattori storici, ma geografici (i loro nomi, significativamente, sono tratti da elementi di geografia fisica). È il trionfo della "natura" sulla storia, dove la "natura" in quel caso significa un moncone di realtà, ciò che della realtà è filtrato e selezionato dalla ragione razionalistica, e dove la storia è invece la globalità della tradizione, che deborda e precede la capacità umana di capire. b)Così, ancora, il calendario viene riscritto: nuova la datazione degli anni, nuovi i nomi dei mesi, nuova la scansione in decadi che sostituiscono le settimane; si vuole sottolineare che quella che comincia con la rivoluzione è un'epoca nuova, che non deve niente al passato, alla tradizione, che non ha bisogno di memoria storica perché tutto quello che le serve le è dato dalla ragione. c)Qui, tra l'altro si alimenta la polemica (specie in campo scolastico-educativo) contro la cultura umanistica, che al passato è più legata, in favore di una cultura tecnologico-scientifica che dalla tradizione prescinde, dando alle nuove generazioni il senso di un potere razionale sulla natura. d)Così, più in generale, tutta la Rivoluzione Francese si fonda sul concetto illuministico e razionalistico di progresso, secondo cui il presente è migliore del passato, per cui dal passato non c'è nulla da imparare. I diritti dell'uomo e del cittadino ad esempio sono presentati come un dato evidente alla pura ed astratta razionalità, non rendendosi conto di quanto invece la coscienza della dignità dell'uomo abbia avuto una maturazione storica e soprattutto di quanto sia debitrice verso l'Evento storico di Gesù Cristo, senza del quale i vari filosofi "illuminati" avrebbero continuato a bruciare grani d'incenso al despota di turno. L'elenco potrebbe allungarsi, ma limitiamoci a osservare che questo disprezzo per la tradizione, ossia per ciò che precede ed eccede la razionalità "naturale", ha portato all'impossibilità di costruire un presente: non vi è stato niente di più instabile della situazione creata dalla Rivoluzione Francese, col suo susseguirsi di guerre, massacri, rivolgimenti, sotto il segno dell'insicurezza e della provvisorietà.

2. il Cristianesimo: realtà e memoria

Nel libretto della Thuile si insiste su due coordinate che definiscono la realtà del Cristianesimo in opposizione al razionalismo astratto di molta ideologia moderna: l'apertura alla realtà, all'essere (e dunque una impostazione ontologica) e la decisività della memoria, strumento della tradizione tramite cui l'Avvenimento ci raggiunge nel presente.Esaminiamo qualche implicazione di queste due tesi, e successivamente il loro nesso.

a) apertura alla realtà: il primato dell'ontologia. Partiamo dal primato dell'ontologia. Esso significa che ciò che riteniamo essere vero, lo è non perché lo abbiamo deciso noi, in maniera poco o tanto violenta (come fa il razionalismo astratto che detta alla realtà le sue leggi: è vero ciò che soggiace al criterio x e al criterio y, che io ho, a-priori, fissato); ciò che riteniamo per vero, lo riteniamo tale perché tale ci si impone, perché tale ci si offre a una leale constatazione, a una oggettiva constatazione. Riteniamo vero ciò che c'è. Per il fatto che c'è. Come dice sempre don Giussani: la ragione è coscienza di ciò che esiste, apertura alla realtà esistente. Anche credere non è sforzo soggettivistico o volontaristico (credere perché è bene, o perché è giusto) ma lealtà totale con il dato (oggettivo) dell'esperienza: l'Avvenimento cristiano è una realtà, non un ideale etico, una realtà a cui si giunge se si prende con lealtà totale l'esperienza 1.

Cerchiamo di documentare brevemente come questa sottolineatura sia profondamente radicata nel Cristianesimo in quanto tale. Potremmo anzitutto osservare come le stesse preghiere cristiane inizino con un riconoscimento "ontologico", e solo poi vengano a una richiesta "pratica" (in qualche modo corrispondente all'etica); le stesse preghiere infatti partono da ciò che Colui che si prega è (in sé) e solo in un secondo momento giungono a ciò che Colui che si prega può operare (per noi): la preghiera "del Signore" inizia considerando (ontologicamente, potremmo dire) "chi è" Colui cui si rivolge (il Padre di tutti gli uomini, che sta "nei cieli"); così le preghiere mariane, a cominciare dalla più nota: prima si considera "chi è" Colei a cui ci si rivolge (Maria, la "piena di grazia", Colei che è in intima comunione col Signore, ed è benedetta tra tutte le donne), e solo poi le si chiedono degli aiuti; analogamente nella Salve Regina: prima vengono riconosciute le caratteristiche "oggettive" di Maria, Regina, Madre di misericordia, e quanto segue, e solo poi Le si chiede di esserci avvocata presso il Figlio. Insomma prima viene l'in sé, poi il per me, prima lo stupore per "qualcosa" che c'è, poi la domanda di esserne investito nella prassi personale.

Il primato dell'ontologia lo vediamo inoltre nella stessa struttura della Sacra Scrittura: ad esempio nell'Antico Testamento prima vengono i libri storici (che attestano qualcosa di oggettivamente accaduto) e poi quelli didattico-sapienziali (di contenuto in qualche modo etico). Così il Nuovo Testamento inizia con i Vangeli, che attestano un Evento oggettivo, un evento che si propone ad essere constatato, e nelle lettere di san Paolo le esortazioni morali sono generalmente precedute appunto dall'annuncio di tale Evento (ed eventualmente del Disegno che lo sostiene).

Se infine consideriamo la filosofia e la teologia cattoliche vediamo come, almeno teoricamente, nessun autore si sottragga a questo riconoscimento del primato dell'ontologico (vedremo nel quarto punto come di fatto nell'epoca moderna questa linea sia stata, nei fatti, tradita). Esso potrebbe sembrare meno chiaro negli autori (di indirizzo "agostiniano"), che danno grande importanza all'affettività. Per questi teologi, tra cui S.Agostino, si conosce davvero solo ciò che si ama; potrebbe sembrare allora che non ci sia tanto, prima di tutto, un riconoscimento della verità, ma che alla verità si giunga solo tramite il cuore; ma, se è così, chi ci garantisce che il cuore non alteri la verità a proprio piacimento? Il fatto è che l'affettività, il cuore, per S.Agostino come per i suoi più genuini discepoli, non ha il compito di creare la verità, ma di aiutare l'intelligenza a riconoscerla, a partire da un dato presente all'evidenza esperienziale. E in S.Agostino è quanto mai vibrante la percezione che il Cristianesimo è un fatto reale, il centro ontologico di tutta la vita dell'uomo, e che l'etica scaturisce dall'adesione a tale fatto. Potremmo vederne una prova nella sua celebre esortazione "dilige et fac quod vis" ("ama e fa quello che vuoi"): ama l'Oggettivo e da lì scaturirà il comportamento più giusto. Noi vediamo in questa affermazione una profonda libertà da un'etica concepita come insieme di regole che non abbiano un fondamento oggettivo. È solo una Presenza, che, anzitutto riconosciuta e amata, spinge l'uomo al bene, non certo delle regole fissate a-priori. Così pure in S.Tommaso, l'altro grande astro della cultura cristiana, troviamo chiaramente affermato che è l'adesione all'oggettività a guidare il cammino etico. Tant'è che nella sua opera principale, la grande Summa Theologiae, l'etica viene trattata dopo aver trattato dell'ontologico, ossia di Dio, del mondo, dell'uomo e di Cristo.

b) La memoria. Anche l'importanza della Tradizione e il valore della memoria come strumento della Tradizione sono concetti saldamente fondati nella storia della cultura cristiana. Il Cristianesimo è essenzialmente accoglimento di ciò che viene, di generazione in generazione, consegnato (in latino tràditum, da cui tradizione) da testimoni, che in ultima analisi rimandano al Testimone per eccellenza, Cristo (cfr. Si può (veramente?!) vivere così?, p. 99). È stato già molte volte osservato come per il Cristianesimo il più sia il "già", e come il "non-ancora" sia visto come lo svelarsi pieno del "già". E questo non nel senso fossilizzante del tradizionalismo alla Lefèvre, fedele a una forma mummificata del passato, ma come fedeltà a un Presente che è vivo tanto da spiazzarci e stupirci (continuamente, nella misura della nostra sincerità), resa possibile dall'accoglienza dei "fatti che hanno fatto rivivere l'Avvenimento originale" (p. 6). Da qui un amore e una stima per ciò che, nel corso della storia, ha veicolato l'Avvenimento, atteggiamenti questi già presenti in tutta la grande cultura cristiana, che piuttosto che protendersi all'invenzione di novità astruse, si è anzitutto amorosamente ripiegata ad ascoltare e coltivare le ricchezze della propria vivente tradizione, trovando in esse stimolo a capire, amare e valorizzare la contemporaneità. Si pensi ad esempio alla grande stagione delle Summe nel basso medioevo, resa possibile da un paziente e attento ascolto della lezione dei Padri della Chiesa: tutti i grandi dottori della Scolastica hanno costruito le loro sintesi partendo da un commento ai Padri2. Mentre gli intellettuali di matrice razionalista sono tanto più contenti quanto più riescono a far apparire originali le loro tesi, al punto da elaborarne di calcolatamente astruse, gli intellettuali medioevali erano tanto più contenti quanto più le loro tesi erano rispecchiate nella tradizione, erano il risuonare nuovo di antiche melodie, la declinazione contemporanea di un Significato che non invecchia col tempo.